
L’estate dei ragazzi di Cabiaglio, un piccolo borgo alle porte di Varese, è scandita da una serie di rituali. Quello del pane con l’uva la prima domenica di settembre, che chiude la stagione dei bagni nei torrenti, della polenta alla cappella degli asini e delle corse in bicicletta, è il loro preferito. A impastare quel pane è Aristide, che ha preso il posto di suo padre, ucciso di botte e di dolore dai fascisti. In quel forno di famiglia che, grazie al calore e alla forza di sua madre Innocenta, si fa cuore della comunità. Aristide appartiene a un gruppo di sette ragazzi di età diverse, ma in un paese di poche anime le differenze non contano, conta solo stare insieme. Quella domenica del settembre 1938, spensierata e leggera, sarà l’ultima che li vedrà tutti ancora insieme, dalla stessa parte. Quando, cinque anni dopo, il maresciallo Badoglio annuncia l’armistizio, le strade di Cabiaglio si riempiono di gente, le mani a conca intorno alla bocca per gridare al mondo e a sé stessi che la guerra è finita. Aristide e Innocenta si guardano negli occhi, senza bisogno di dirsi il sollievo: allora lui non dovrà più partire soldato, forse potrà restare a fare il pane. Ma il pensiero corre veloce agli amici di un tempo ora lontani, a chi ha sposato il regime e a chi lo avversa, a chi scrive lunghe lettere dalla Grecia e a chi è appena ripartito per il fronte. Come in tutt’Italia, i giorni dopo quell’8 settembre saranno cruciali anche per i sette ragazzi di Cabiaglio e per le loro famiglie, giorni in cui decidere se e contro chi continuare la guerra, giorni in cui essere pronti a morire senza aver iniziato a vivere davvero, giorni in cui donne e uomini, partigiani, repubblichini, prigionieri e disertori si troveranno faccia a faccia con un fucile in mano e dovranno scegliere chi e che cosa salvare.
Sull’isola non tutti vanno e vengono allo stesso modo. Ci sono quelli che arrivano con il sole di maggio e ripartono con le prime piogge di settembre. C’è chi fa avanti e indietro ogni giorno, senza più chiedersi a quale riva appartenga davvero. E poi ci sono quelli che, messi dalla vita davanti a un bivio, hanno dovuto scegliere se restare o imbarcarsi per una partenza che può valere un addio. Entrambe le scelte lasciano un segno invisibile e profondo. Mia lo ha imparato da bambina attraverso la storia della sua famiglia – la madre Teresa è rimasta, nella convinzione che l’isola fosse l’unica realtà possibile, mentre la zia Nietta è andata via appena ha potuto – e continua a vivere questi conflitti da adolescente insieme a Giulia, Anna e Nello, gli amici di sempre. Adesso però a portare scompiglio è arrivata Marina, la ragazza di città che non se ne andrà con le piogge di settembre. Così diversa e a tratti scostante, Marina attira su di sé sentimenti contrastanti: dalla curiosità al disprezzo, dall’attrazione all’invidia. Mia, invece, in lei vede soprattutto il fascino di chi proviene da un altrove lontano. Eppure Marina si trascina dietro legami ancestrali – sua madre Lia è legata a filo doppio con l’isola da un trauma e dall’antica amicizia con Teresa – e sembra destinata a riportare a galla segreti inconfessabili. Con una prosa avvolgente e un ritmo solenne, Rosita Manuguerra ha scritto un romanzo di formazione luminoso, che a partire dall’ambientazione in una piccola isola è in grado di esplorare temi universali.


Mi chiamo Anthony Wistern e sono ricco, potente e con un talento speciale nel raccogliere nemici (e amanti) come altri collezionano orologi di lusso. Sfortunatamente, sono anche morto. No, non nel senso metaforico del “sto morendo di noia” (anche se, onestamente, certe conversazioni a cena con mia moglie si avvicinavano molto). No, io sono morto sul serio, e in grande stile, durante la sfarzosissima festa per il mio sessantesimo compleanno. Uno di quegli eventi esclusivi che finiscono sui giornali, anche se di solito non nella sezione cronaca nera. E invece eccomi qui, protagonista della serata, non per il brillante discorso di ringraziamento che avrei dovuto fare, ma per il modo cruento in cui sono stato eliminato. Ora, la vera domanda è: chi ha deciso di rovinare la festa? Mia moglie Olivia, troppo ossessionata dalle apparenze per sporcarsi le mani, ma abbastanza motivata da delegare? Uno dei miei adorabili figli che hanno già il canino insanguinato per l’eredità? O qualche ospite risentito, nascosto tra i finti sorrisi e i bicchieri di champagne? Mentre il mio corpo si raffredda più in fretta dei mini soufflé al caviale, la mia famiglia si scatena in una lotta senza esclusione di colpi per il mio patrimonio. Tra ipocrisie, vendette e segreti che sarebbe stato meglio lasciare sepolti (letteralmente, nel mio caso), la festa continua… solo senza di me. Per fortuna, c’è la Segugia, una content creator ossessionata dal true crime che vuole proprio risolvere il caso…
Bisogna interrogare il passato per trovare la verità Venezia, notte di Halloween. Un uomo influente viene trovato morto in circostanze misteriose. Quello che sembra un caso isolato si trasforma presto in un incubo per l’ispettore Marco Pioggia e la collega Greta Vivaldi, quando una nuova scia di sangue riporta alla luce vecchi fantasmi del passato. Tra indizi criptici e omicidi rituali appare sempre più evidente che qualcuno vuole sfidare l’ispettore, imitando il modus operandi dei serial killer sui quali ha indagato. Marco si ritrova così coinvolto in una spirale di eventi che lo toccano nel profondo, costringendolo a confrontarsi con verità che credeva sepolte. Mentre i giorni scorrono, la posta in gioco si fa sempre più personale e la caccia a un nemico invisibile si trasforma in una corsa contro il tempo.


Estate 1985, Carrone, Sud Italia: il diciottenne Giuliano si imbatte in un giovane avvolto da fiamme che miracolosamente non lo bruciano. È Italo Orlando: ha la pelle giallognola, nessuno sa da dove viene, sembra un extraterrestre caduto sulla terra per portare scompiglio. Marzo 2002: una scossa di terremoto fa crollare il tetto di una palestra. Muoiono otto bambini, tra cui Eugenio, il figlio di Giuliano. Tra le macerie a qualcuno sembra di scorgere Italo, che da quel giorno, e per molto tempo, nessuno vedrà più. Che cosa è successo tra questi due momenti ce lo racconta Piera – l’altra figlia di Giuliano – che tenta di ricostruire, tra ricordi suoi e narrazioni riportate da altri, una realtà incrinata da una moltitudine di domande. Il crollo è stato solo una disgrazia o c’era del dolo? Cosa c’entrano Giuliano e la sua fabbrica di laterizi in questa tragedia? E che fine ha fatto Italo Orlando? Le vicende di Piera, alle prese con un’impossibile elaborazione del lutto, vanno a comporre un romanzo di formazione deforme e dolorosissimo, che come uno zoom si restringe e si allarga tra la dimensione intima e la sorte collettiva.
Brian conduce una vita solitaria: lavora come contabile in un ufficio statale, nella pausa pranzo mangia un panino in un bar italiano, non ha veri amici e passa ogni sera da solo davanti alla televisione nel proprio appartamento nel nord di Londra con una tazza di tè e un pacchetto dei suoi biscotti preferiti. Del resto, ha trascorso tutta la propria esistenza a evitare di farsi coinvolgere troppo nelle cose e ad allontanare da sé possibili motivi di fastidio alla sua routine giornaliera. Da quando però, quasi per caso, comincia a frequentare il British Film Institute, tutto inizia a cambiare: il cinema entra nelle sue giornate e le arricchisce, coinvolgendolo sempre di più, facendolo sentire finalmente se stesso. Settimana dopo settimana, mese dopo mese, durante le serate al BFI Brian scopre che ci sono altri come lui, cinefili bizzarri o introversi che considerano il cinema la propria ragione di essere. E con uno di loro in particolare, Jack, pian piano comincia a crescere una vera affinità, tenera e imbarazzata, che lo porterà a capire, per la prima volta nella sua vita, cosa vuol dire avere un amico…


Barcellona è sanguinaria, fabbrica persone solitarie e le obbliga a convivere, non permette di stare da soli e nemmeno di formare una famiglia. È inospitale, claustrofobica, ha poche reti di solidarietà. La donna senza nome protagonista di Decadenza è laureata in pedagogia ma è costretta a pulire le case per sopravvivere: l’impiego in una ludoteca, infatti, non le permette di mantenersi. Poi un giorno perde anche il lavoro da domestica, e, scacciata violentemente da casa dai proprietari, si rende conto di essere condannata a vivere per strada. Consapevole del degrado che la vita all’aperto comporta, non si lascia andare, non si arrende al destino. Un’amica le viene in soccorso, di tanto in tanto la ospita o le dà da mangiare ma non potrà certo impedirle di scivolare in una febbre onirica di desiderio e illusione. Chissà che la follia non sia l’unica via d’uscita dal soffocamento di una società piegata al capitalismo selvaggio. Ed è per questo che in Fascino accade qualcosa di inusuale e forse magico, qualcosa che potrà davvero salvarla.
Nel cimitero di Kawatare, dove il passato incontra il presente, un fiore sboccia per trasformare il dolore in nostalgia, il rimpianto in perdono, e ogni addio in un nuovo inizio. A volte il perdono inizia da un seme che finalmente riesce a germogliare… Al cimitero di Kawatare, una quieta oasi di pace nel trambusto cittadino, il giovane custode Hioki Nagi ha allestito un ufficio che sembra un accogliente caffè, con poltroncine confortevoli, riviste e libri da sfogliare, e tante piante verdi che ravvivano l’ambiente. Non è così semplice da trovare, ma chi vi s’imbatte ne esce confortato, perché Nagi riceve i visitatori con il sorriso, una tazza di tè fumante e parole che vanno dritte al cuore. E talvolta con un dono speciale: il seme d’ipomea bisesta, un fiore misterioso che si dice abbia il potere di gettare un ponte tra i vivi e i morti. Chi lo coltiva e riesce a farlo sbocciare rivive un momento del passato che ha lasciato dietro di sé qualcosa d’irrisolto. Che si tratti di un segreto mai rivelato, di un gesto sbagliato o di una parola non detta, l’ipomea bisesta permette di dare risposte a questioni rimaste in sospeso troppo a lungo. È così per la donna cui mancava un dettaglio della sua infanzia che non avrebbe mai dovuto dimenticare; per il ragazzo che piange per il suo amore perduto; o per il vecchio che ancora si strugge per un rimpianto di gioventù. Per tutti loro, lo schiudersi del fiore segna l’alba di una rinnovata serenità e l’inizio di un nuovo cammino. Solo Nagi ancora non riesce a far germogliare il proprio seme. Forse perché è più facile lenire il dolore degli altri piuttosto che guardare in faccia i propri fantasmi. Eppure, forse sarà proprio aiutando quegli sconosciuti che anche lui riuscirà a riconciliarsi con il passato e a guardare avanti. Perché in fondo, l’unica cosa che conta, per i vivi come per i morti, è appianare le asperità affinché tutto l’amore che è stato seminato torni libero di fiorire.


Se Emma ripensa a Finn, il suo amico del liceo e partner nelle competizioni di debate, le tornano subito in mente tutti i momenti che l’hanno avvicinata a lui – l’invito alla festa di fine anno, il primo bacio, la magica notte passata insieme su un tetto di New York. Peccato che ogni volta ne sia uscita con il cuore irrimediabilmente spezzato, motivo per cui sarebbe felice di non doverlo vedere mai più. Invece, durante la festa di addio al nubilato di Sybil, la loro amica in comune, Emma, damigella d’onore, scopre che purtroppo Finn sarà il testimone di nozze. Non resta che passare indenni il matrimonio, tenendosi a dovuta distanza… Ma quando Sybil scappa a un giorno dal fatidico sì, i due ex compagni di scuola – che per poco non si sono innamorati, anni prima – si ritrovano bloccati insieme in un selvaggio weekend on the road sulle tracce della sposa in fuga. In una forsennata e rocambolesca corsa contro il tempo fino a Las Vegas, Emma e Fynn compiono un viaggio vorticoso lungo la strada dei ricordi… e vicino a quel “quasi” che forse, ora, potrebbe diventare realtà.



